Perché un gruppo di lettura di donne su tematiche di genere

In questo articolo parliamo di:

Nel mio paese (Altavilla Vicentina in provincia di Vicenza) ho creato un gruppo di lettura dedicato alle donne e per le donne, dal nome “Lettrici del genere“.
Il bisogno mi è sorto partecipando ad altri gruppi di lettura online, durante il lockdown, dove mi sono confrontata con altre donne su tematiche come la violenza maschile sulle donne, le discriminazioni a cui tutte siamo sottoposte ogni giorno, la liberazione della donna.

La partecipazione al gruppo di lettura è già entusiastica dopo pochi incontri, ho notato il bisogno e l’entusiasmo per la condivisione tra donne, la voglia di scambio, di comprensione, di imparare l’una dall’altra. Pur nella diversità delle personalità e delle opinioni c’è uno scambio pacifico e rispettoso delle idee anche diverse che emergono. Mi piace l’idea di aver fondato questo gruppo di lettura di persona, di poterci incontrare e guardarci negli occhi senza schermi in mezzo, e di incontrarci nel mio paese, dove possiamo sentire un senso di vicinanza anche fisico tra di noi.

La mia esperienza informandomi e formandomi su queste tematiche mi ha portato a vedere il mondo con occhi diversi, in un certo senso è stato come indossare degli occhiali che mi hanno fatto vedere in modo nitido molte cose, ed ora non posso più fare finta di nulla, sento il bisogno di fare qualcosa. In questa ottica, tutte le discriminazioni diventano evidenti, si aprono gli occhi su una società escludente, sulla cultura dell’individualismo in cui cresciamo.

Da questi spunti emergono le discussioni su discriminazioni di ogni tipo: la nostra società ci cresce in conformità di un binarismo di genere e in conformità di standard che siano funzionali all’ordine costituito, crescendoci come consumatori di oggetti, consumatori di contenuti, consumatori di persone e non come pensatori liberi. Veniamo educati a temere la diversità, a nascondere qualsiasi cosa esca dalle definizioni di “normalità” imposte da un patto sociale di cui non siamo consapevoli.

Questo genera violenza ed esclusione verso tutto ciò che è sentito come “diverso”: le persone disabili, le persone di razze ed etnie non italiane, le persone di colore diverso dalla pelle bianca, le persone con orientamento sessuale diverso dall’eterosessualità, le persone che fanno scelte diverse dalla nostra, chiunque insomma non sia collocabile in ciò che la società etichetta come “normale”.

Ritengo che l’avvento dei social network, della condivisione globale, se da un lato ha il vantaggio di poterci far scambiare idee ed opinioni con persone di tutto il mondo, abbia consolidato pensieri e comportamenti escludenti, normalizzandoli attraverso le discussioni che avvengono sui social. Non so dire se la mentalità escludente e conforme ad uno standard imposto e non consapevole ci fosse a questo livello anche prima dell’affermazione dei social, ma è evidente ora che esistono larghe fette di società che invece di aprirsi alla diversità, si arroccano in posizioni individualiste dettate dalla paura del diverso.

Omofobia, transfobia, abilismo, individualismo, maschilismo permeano i social network, e ne fanno da amplificatore. C’è quindi bisogno, secondo me, di ritrovarci faccia a faccia con le persone, di costruire un pensiero autonomo e libero dai condizionamenti del pensiero “di massa”, di ragionare di sentimento (che sembra un controsenso ma non lo è) per costruire una umanità diversa, amorevole, collettiva. Dall’individualismo alla collettività.

Le donne secondo me hanno un ruolo fondamentale in un cambiamento radicale della società. Sono da millenni esse stesse discriminate, oppresse, sottomesse, quindi dotate dell’empatia necessaria (se aprono gli occhi) per capire tutte le altre persone discriminate. Sono ancora educate al sentimento, sono abituate a convivere con le emozioni e a non reprimerle, a convivere con la complessità ed il cambiamento.

La cosa necessaria secondo me è prima di tutto la presa di coscienza dalla propria discriminazione e dei propri pensieri discriminanti. L’autoconsapevolezza è fondamentale per un risveglio ad altri valori. Per fare questo bisogna studiare, leggere e confrontarsi con altri. In questo modo la spinta ad agire prosegue in modo naturale: visto un problema, non si si può più voltare le spalle.

Questo non significa colpevolizzarci, essere sottoposte all’ennesimo trattamento psicoanalitico per capire perché o per cosa agiamo in questo modo. O per lo meno possiamo trovare le motivazioni, ma non ci daremo colpe, perché capiremo che siamo figlie di un condizionamento che non dipende dalla nostra volontà.

Aprire gli occhi fa parte di una crescita personale imprescindibile per diventare persone mature in grado di vivere con armonia in una collettività.
Aprire gli occhi significa riappropriarci di noi stesse, accettare e legittimare il nostro modo di essere, come donne e come individui. Dire “io vado bene così” è la liberazione più grande che ci possa essere, e ne consegue l’impossibilità di tollerare oltre il fatto che altre persone non permettano di vivere come ci piace o come vogliamo essere. Il giudizio, l’etichetta, il commento non richiesto vanno visti prima nei nostri comportamenti, e poi non più tollerati verso di noi.

Attraverso i libri, le storie, le biografie di donne abbiamo la possibilità di aprirci a queste tematiche. La lettura è da sempre il modo per vivere ed immedesimarci in storie di altri, di esplorare altri mondi per arricchire il nostro. Noi donne ci siamo sempre viste negare storie in cui immedesimarci, altre donne che possano farci da modello, siamo cancellate dai libri di storia, dalla storia dell’arte, dalle materie scientifiche, dalla filosofia.
Attraverso i libri del gruppo di lettura per donna (vedi qui la bibliografia) voglio recuperare donne dimenticate in cui possiamo immedesimarci, storie in cui possiamo risuonare, racconti e mitologie che rileggiamo con occhi diversi, quelli femminili. Non solo per noi stesse, ma anche per le nuove generazioni.

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