Qualche generazione prima della mia, quella dei miei nonni e nonne e bisnonni e bisnonne, si viveva in contrade, in un contesto rurale. Le contrade erano agglomerati di case e di persone, a volte anche distanti tra loro, collegate da stradine percorribili a piedi o con il carretto.
Le contrade erano comunità quasi indipendenti o comunque cercavano di esserlo: c’era un forno comune per fare il pane ad esempio e mio padre mi racconta ancora come la giornata in cui si faceva il pane coinvolgeva tutte le persone della contrada. Chi impastava, chi infornava, ecc.
Le risorse di una famiglia erano messe in comune e tutti assieme si sopravviveva. Certo non era un mondo da fiaba come alcunɜ se lo immaginano, la vita era dura, si sopravviveva e non esistevano comodità.
Nelle contrade si partoriva in casa, lɜ bambinɜ erano di tuttɜ e venivano educatɜ da tutte le persone che vivevano lì. Giocavano tuttɜ assieme, venivano tenutɜ d’occhio da tuttɜ, chiunque si conosceva.
Una donna incinta era affare di tuttɜ, il parto era un evento che coinvolgeva tutta la contrada.
Se la persona che aveva partorito non aveva latte, qualcun altrə allattava e se chi aveva generato lə bimbə non poteva crescerlo perché era troppo in povertà o per qualsiasi altro motivo, lə bimbə cresceva presso un’altra casa, con altri “genitori”.
Mia madre un giorno mi ha mostrato le foto dei miei bisnonni e bisnonne e dellɜ loro parenti, ha cercato di ricostruire una linea genealogica delle proprie origini, ma spesso non si riusciva a capire chi fosse figliə di chi.
La cosa era normale, lɜ figliɜ erano di tuttɜ e se ne prendeva cura chi poteva.
Ora diamo uno sguardo alla società attuale. Le persone vivono in appartamenti in condomini dove spesso non si conosce nemmeno lə vicinə di casa. Ognuno si deve arrangiare. Chi può permettersi una casa singola sta bene attentə ad avere contatti con i vicinɜ. C’è una netta distinzione tra “quel che è mio” e “quel che è tuo”.
Le donne incinte sono sole. Si rivolgono al servizio pubblico, all’ospedale, esistono impersonali corsi pre parto e visite periodiche dove è già un miracolo se vieni seguita sempre dallə stessə modicə.
Una volta partorito, la donna è fatta alzare quasi subito dal letto per prendersi cura del neonato. Mia madre mi ha invece raccontato che in passato si rimaneva almeno una settimana a riposo in ospedale. Nelle contrade la neo mamma era aiutata da tute le donne del posto.
Ora le donne sono “fortunate” se hanno la madre o la suocera che “aiutano”. I padri non hanno nemmeno un congedo parentale e siamo tuttɜ convintɜ che sia esclusivo compito della madre accudire il neonato.
Le donne si ritrovano nelle loro scatolette di case con questo esserino che ha bisogno di attenzioni costanti e loro sono stanche, non dormono, e sono sole. Anche perché la cosa importante è che il compagno o marito continui la propria vita indisturbato, che consiste nell’andare al lavoro, dormire e andare a calcetto il venerdì sera.
Tutto ciò lo definiamo “normale”, e ci appelliamo al concetto di “famiglia tradizionale”.
È successo che in un ospedale italiano una donna abbia partorito e abbia affidato il neonato alla “culla per la vita”.
La cosa è stata schiaffata in prima pagina su tutti i quotidiani e tutte le persone si sono permesse di commentare su qualunque social.
L’affidamento dei neonati alla culla per la vita avviene in anonimato, altrimenti il nome e cognome di quella donna sarebbe stato dato in pasto a tutto il mondo.
Questa donna non ha “abbandonato” suo figlio, ma lo ha “affidato” alla culla della vita e la ragione per cui l’ha fatto non è nemmeno da prendere in considerazione, perché se fosse vissuta in una contrada, come 100 anni fa, nessuno si sarebbe scandalizzato e le cose sarebbero state ben diverse per tuttɜ.
Se questa donna ha ritenuto che il bambino sarebbe cresciuto meglio con qualcun altro rispetto che con lei, ha fatto un grande gesto d’amore.
Questa società dice alle donne “fate figli” (ma perché poi?? dobbiamo popolare ancora di più questo mondo già al collasso?), le lascia completamente sole e poi le giudica se fanno una scelta libera e consapevole per il bene del bambino.
E come se non bastasse spunta LUI, il maschio bianco ricco, che dalla sua casa di Abu Dhabi si permette di “fare un appello” a questa donna per riprendersi il bambino in cambio di soldi o di non si sa che quale tipo di aiuto.
Ma tu, Ezio Greggio, sei mai stato madre? Hai mai partorito? Hai mai dovuto compiere una scelta come quella di affidare un bambino a qualcuno? Conosci quella donna? Sai perché l’ha fatto? Hai mai sentito su di te la pressione sociale dell’essere donna? La risposta a queste domande è NO. Quindi non ti devi permettere di mettere bocca su questa vicenda.
E sei stato capace di metterci bocca anche offendendo altre persone, cioè quelle che tu hai etichettato come “non vere madri”. Ma con quale titolo etichetti alcune persone come “vere madri” ed altre come “false madri”? Cosa significa per te “essere madre”? Partorire? O accudire unə bambinə per tutta la vita?
Ed in tutto ciò, il padre di questo bimbo, dov’è? Perché l’appello è rivolto alla sola madre? I padri esistono solo quando fa comodo? Perché sul padre non si è espresso alcun giudizio, nessuna gogna mediatica, nessuna delle mille ipotesi di “abbandono” che si sono ventilate per la madre?
Chiudo questo posto con alcuni interrogativi che dovrebbero porsi tutte le persone:
- che cos’è la “famiglia tradizionale”?
- perché la “famiglia tradizionale” dovrebbe essere un bene da tutelare?
- perché si presume che nella “famiglia tradizionale” i bambini crescano meglio?
- cosa significa essere “vere madri”?
- perché i giudizi ricadono sempre sulle donne e mai sui maschi?
- perché si giudicano le scelte altrui senza conoscere nulla?