Come accade quasi ogni volta, oggi leggendo la Newsletter di Giulia Blasi, mi sono sentita colpita nel vivo e compresa in uno stato d’animo che spesso fatico anch’io a capire.
So che ha molto a che fare con la performance e con il sentirmi una “brava bambina“, degna di approvazione e di lode per aver fatto tutto quello che era (e non era) mio compito, per non essermi risparmiata nelle energie ed aver finito qualcosa.
Fatico a riconoscermi nella persona che ero qualche anno fa, la consapevolezza corre veloce nel mio caso, e il cambiamento dei pensieri spesso è così veloce che ho bisogno di fermarmi e riordinarli. Ero una “brava bambina” che ci teneva a fare tutti i compiti ed ero inoltre una “brava professionista” preparata e che sapeva come muoversi nel mondo del Web.
Oggi invece vorrei stravolgere tutto.
Non mi interessa più essere la brava bambina, mi interessa essere vera.
Non mi interessa essere una brava professionista, mi interessa essere onesta.
Tutto sta nel capire che cosa intendiamo per “brava”. Se intendiamo “capace” allora lo sono ancora. Nel caso di “bambina” però l’aggettivo “capace” stride un po’. Se intendiamo per “brava” l’essere conforme alle regole, ancora mi trovo di fronte ad un altro bivio, se non ad un incrocio multiplo: le regole di chi? Chi ha deciso le regole a cui dovrei conformarmi?
Proprio in questo giorni ho lavorato sul mio sito MicioGatto.it ad una campagna sponsorizzata, dove ricevevo un compenso per pubblicare un articolo di recensione di un prodotto, nello specifico un cibo per gatti. La campagna proseguiva poi con la sponsorizzazione del post sui social che riportava alla recensione. Ho ricevuto un sacco di commenti negativi, sul fatto che mi sono fatta pagare per recensire un cibo mediocre, definito da alcuni “pessimo” addirittura.
Non sapete la gioia che mi hanno provocato quei commenti negativi 🙂 Mi sono detta: “Elisa, svegliati!”. Perché non mi sono ascoltata e non sono stata coerente con le mie convinzioni?
Da un po’ di tempo nutro la speranza di allontanarmi dal mondo dei post sponsorizzati da aziende, voglio essere libera dal commercio delle informazioni, voglio essere vera.
Per quanto poco, quando si lavora dietro pagamento di un compenso da grandi aziende, si deve sottostare alla loro politica. Il compromesso è: campi facendo l’influencer, la tua fonte di reddito è la pubblicità, quindi devi scendere a patti con prodotti che non sempre ti convincono, ma che ti fruttano un guadagno per poter continuare un lavoro per rendere consapevoli i tuoi lettori. Io il mio lavoro l’ho sempre visto così. Non ho mai voluto lavorare per i soldi, ho cercato un fine più alto, cioè creare consapevolezza, ma finché si deve sottostare al pagamento di un compenso da parte di una grossa azienda, questa libertà non c’è. Di qualche cosa si deve campare.
Forse questo episodio mi ha dato la spinta finale: lavorare seguendo le mie convinzioni. Non sarà una transizione immediata, non me lo posso permettere, ma vorrei passare dal fare una informazione condizionata dalla pubblicità (lavorare sulla SEO quando scrivo un articolo, fare post per aziende, usare le parole “giuste” per il marketing, ecc) ad una informazione libera ed indipendente. Per finanziare tutto ciò, ci vuole il sostegno dal basso. E a dir la verità, il sostegno dal basso è quanto più mi piace, in generale, ultimamente!
“Quando qualcosa è gratis, il prodotto sei tu“. Questa massima a quanto pare risale ancora ai fratelli Grimm e alle loro favole (così ho letto in velocità sul web, mi fido come no), ma è quanto mai attuale. Da sempre, per una mia propensione ad essere un po’ “formichina” se non proprio tirchia (ma mi giustifico sempre dicendo che sono povera…) ho amato le cose gratuite. Il web è sempre stato popolato da servizi gratuiti, da quando ho iniziato a lavorarci, ormai 20 anni fa, ho sfruttato appieno tutte le sue possibilità gratuite. Ultimamente però ho aperto gli occhi.
Un po’ per la lettura di “Il capitalismo della sorveglianza” di Shoshana Zuboff e di altri testi di cui magari ti parlerò, un po’ perché conosco benissimo i meccanismi che stanno dietro la raccolta dei nostri dati sul web, il marketing, il re-marketing, ecc, credo di essermi ravveduta e decisa ad opporre resistenza (alla buonora).
Non è semplice accorgersi di un abuso quando si nasce nuotando in quell’abuso, come mi insegna anche il patriarcato: è come essere un pesce rosso che vive in una boccia d’acqua e si guarda attorno chiedendosi dove sia mai l’acqua e cosa sia.
Ed è così che i social ci offrono mondi di condivisione e divertimento gratuiti, dove passiamo ore delle nostre giornate, ed in cambio vendono non solo i nostri dati, ma anche il nostro tempo e la nostra attenzione alle grandi aziende. E’ inquietante: questi colossi investono miliardi per studiare il nostro comportamento e per studiare come catturare la nostra attenzione per il maggior tempo possibile, e vendono questo tempo ad altre aziende che vogliono venderci qualcosa oppure predire i nostri “bisogni”.
Non sarebbe meglio spendere miliardi per risolvere l’emergenza climatica, far cessare le guerre e far vivere dignitosamente tutte le persone del mondo? I soldi ci sono, ma vengono spesi da questi multimiliardari per creare “meta realtà virtuali”, che ci dovrebbero “connettere”, mentre stiamo sempre più con la faccia incollata ad uno schermo e sempre meno seduti ad un tavolo a chiacchierare guardandoci.
Mi viene sempre un’immagine quando penso a questi grandi miliardari che comandano il nostro tempo: sono maschi. Si, lo so, è una mia deriva personale ormai il vedere tutto con l’occhio femminista, ma è uno sguardo da cui ormai non so più staccarmi, ed è il mio. Come sarebbe se il mondo fosse governato da donne? Se fossero donne ad avere a disposizione tutti questi miliardi di denari?
La mia visione ora contempla le persone, non le grandi aziende. Voglio opporre resistenza effettiva a questo sistema dove governa il denaro ed entrare in un mondo alternativo ma molto reale: dove ciò che conta sono i rapporti con le persone. Ed il capitalismo, il modo in cui in questo mondo siamo rincretiniti con cose gratuite che ci rubano l’attenzione ed anche il discernimento, hanno molto a che fare con la violenza, con le disuguaglianze sociali, con il patriarcato ed il dominio sulle persone.
Mi rendo conto ora che volevo scrivere di tutt’altro in questo articolo, ossia della sensazione di burnout che citava anche Giulia Blasi nella sua Newsletter, ma è andata così. Ma anche quella sensazione ha molto a che fare con la società della performance, con la società dove l’indice di accettabilità di un individuo è il voto su qualcosa. Davvero siamo degni di un valore solo in rapporto a qualcos’altro?
So che ho bisogno di scrivere di più, ed ho bisogno di scrivere la mia visione, la mia visione attuale, e lo farò.
Come c’è scritto in fondo a questo articolo, se non vedi l’ora di leggere altri sproloqui come questo…iscriviti alla Newsletter e te li mando.