Colorista di fumetti: come si è evoluta la professione

lavoro del colorista di fumetti

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Nel mondo del fumetto c’è una figura molto importante, a cui però s’è sempre data poca importanza: il lavoro del colorista di fumetti.

La scuola italiana, soprattutto per via del predominio Bonelli, infatti, ha prodotto pochi fumetti a colori, mentre quelli più venduti, da Diabolik e Tex Willer prima, a
, Martin Mystere e Nathan Never
poi, erano tutti rigorosamente in bianco e nero e, più specificamente, nero di china.

Se d’altro canto le scuole di altri Paesi, come quella supereroistica statunitense o quella manga giapponese, prevedevano abbondante uso di colore (per quanto riguarda i manga solamente una volta che una serie aveva conosciuto il successo e quindi una trasposizione televisiva), la figura del colorista di fumetti è sempre rimasta marginale.

Forse un po’ più di fama l’hanno conosciuta i coloristi della Marvel e della DC, che pubblicavano albi a colori, inchiostrati a colori e che quindi prevedevano l’utilizzo di appositi esperti che dovevano quindi dare spessore alle semplici matite del disegnatore fumettista ufficiale.

In Giappone, invece, l’uso più comune era quello dei retini, ossia delle texture prestampate su fogli trasparenti che dovevano essere tagliate e posizionate sui disegni, con una tecnica molto simile al collage.

Il colorista di fumetti e il computer

In entrambi i Paesi, dagli anni ‘90, ossia quando i computer hanno cominciato ad essere veramente diffusi, dal prezzo abbordabile e con software dedicati alla grafica molto soddisfacenti, il lavoro del colorista è stato soppiantato dal computer o, per meglio dire, gli esperti del colore hanno dovuto abbandonare pennini e pennelli per passare invece a mouse e tavolette grafiche.

I risultati sono stati indubbiamente di grande effetto, basti vedere cosa ha prodotto la Marvel proprio a ridosso del passaggio al nuovo millennio, con tavole e copertine di uno spessore mai visto prima, colori vividissimi e metallizzazioni degne di una carrozzeria d’automobili, eppure…

Eppure, in termini prettamente artistici, non abbiamo assistito ad un’evoluzione, quanto piuttosto ad un appiattimento.

Come spesso accade, infatti, la maggiore disponibilità di mezzi tecnici è coincisa con una minore fantasia e libertà espressiva, facendo quindi un po’ rimpiangere, soprattutto a chi con i colori classici c’era cresciuto, le buone e vecchie chine.

Il colorista nel disegno d’autore

Dove invece il colore tradizionale ha retto e tutt’ora regge, è nel cosiddetto disegno d’autore.

Noi abbiamo avuto la fortuna di veder nascere nel nostro Paese artisti di una caratura incredibile, come Andrea Pazienza, Tanino Liberatore, Milo Manara e Giorgio Cavazzano.

Vedi anche: Milo Manara – biografia, fumetti e opere e  Giorgio Cavazzano – Biografia, tavole, libri

Come veri e propri pittori, nella loro carriera hanno adottato le tecniche più disparate: basta prendere albi come “Perché Pippo sembra uno sballato” di Pazienza, per vedere alternarsi la penna bic alla china data a pennello, l’acrilico al pennarello.

Lo stesso discorso vale ovviamente per gli altri autori italiani che si sono avvicendati in varie tecniche, a seconda del fumetto di volta in volta realizzato.

Andando però a Lucca Comics, soprattutto in anni in cui ancora non era diventata la kermesse odierna, si poteva assistere dal vivo alla creazione di qualche tavola, forse una delle attività più appaganti a questo tipo di mostra e si poteva constatare che il miglior amico di un disegnatore, era il pennarello.

Quello nero, indubbiamente, che tirava le linee principali dei vari personaggi, ma quando si aveva la fortuna di imbattersi in un autore particolarmente generoso, quando non oberato di richieste, come Giorgio Cavazzano, si poteva vedere anche i colori comparire sulla carta a definire e inspessire i disegni.

In quelle circostanze l’alleato numero uno dei disegnatori, era indubbiamente il pennarello: veloce, agile e capace di riempire grandi superfici in poco tempo ha negli anni visto anche una grande crescita tecnica: se infatti negli anni ‘80 mischiare dei pennarelli significava matematicamente ottenere un color marrone veramente poco invitante, grazie all’evoluzione della chimica oggi i pennarelli permettono di mischiare i colori, potendo così creare altre tonalità, ombre e sfumature.

Certo, la professione di colorista di fumetti la si può dire ufficialmente estinta, inglobata di fatto dalla mansione del disegnatore a cui ora spettano maggiori oneri e responsabilità, oltre che libertà espressive, eppure rimane sempre quel fascino antico, che ci riporta ai tempi degli album da colorare, di esprimersi attraverso l’uso del colore, ma nel modo semplice e pulito che garantiscono i moderni pennarelli, oltretutto con un gusto ed una soddisfazione che rasentano il puro godimento fisico.

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