Le statue greche sono famose per le copie romane delle statue greche classiche. Nella Grecia antica esistevano statue in bronzo e statue in marmo colorato, che facciamo fatica ad immaginarci, abituati alle copie romane in marmo bianco. Vediamo come si evolvono le statue greche attorno al V sec a.C.
Statue in bronzo VS statue in marmo
La statuaria in bronzo e quella in marmo sono molto differenti tra loro, tanto che solitamente gli artisti non passano indifferentemente tra una e l’altra tecnica, ma si specializzano in una delle due.
La statua in bronzo non tende ad integrarsi in uno spazio architettonico: la qualità, il colore della materia, che non assorbe la luce ma la riflette, tendono ad isolarla all’interno di uno spazio preciso, che non è architettonico, ma è il suo spazio.
Sappiamo che la tecnica della fusione, che in Grecia raggiunge risultati molto alti, permette una maggiore libertà sia dal punto di vista della forma, ma soprattutto nella rappresentazione del moto.
Lo scultore di statue in marmo parte dalla struttura esterna e ne ricava la forma togliendone le parti. L’artista delle statue in bronzo segue la strada opposta, accentuando i gesti e il movimento.
Per questo tende all’esaltazione della figura singola isolata, mentre la tecnica marmorea è usata per composizioni di figure.
Se solitamente le statue in marmo hanno superfici ampie, masse levigate che servono all’assorbimento e alla diffusione della luce, le statue in bronzo hanno un modellato nervoso, accidentato che tende a far risplendere la luce.
Ci sono arrivate pochissime statue in bronzo, sono arrivate per lo più copie in marmo fatte in epoche successive, perché il bronzo poteva essere fuso e riutilizzato per le armi.
Per questo motivo la scoperta dei Bronzi di Riace è stata accolta nel mondo scientifico ed artistico con una sorta di stupefatta ammirazione. Tra i pochi bronzi originali che ci sono arrivati ci sono il Poseidon di Capo Artemision (o Zeus di Capo Artemision) e l’Auriga di Delfi.
Zeus di Capo Artemisio
Lo Zeus di Capo Artemisio è rappresentato mentre sta lanciando qualcosa, ma l’oggetto non ci è arrivato. A seconda dell’oggetto, la statua potrebbe rappresentare Zeus, se era un fulmine, mentre se l’oggetto era un tridente, la statua potrebbe rappresentare Poseidone.
E’ una statua di dimensioni monumentali, l’altezza è di 2,09 metri. Il piede sinistro è rappresentato impostato lateralmente, così da distorcere tutta la visione della gamba. L’altro piede, il destro, è leggermente divaricato e leggermente rialzato da terra, in una posizione di non stabile equilibrio, che porta ad una forte torsione del busto, tuttavia rappresentato frontalmente.
Il braccio sinistro è teso, mentre il destro è in procinto di scagliare la saetta o il tridente. Tutto il corpo è impostato su un incrocio di diagonali, e le braccia aperte sviluppano un impulso di moto che si trasmette su una muscolatura in tensione, in modo particolare nei muscoli del busto.
Viene trattato in quest’opera il tema della Pundus o Ponderation.
Pondus o Ponderation nelle statue greche
La pondus o ponderation si esplicita nella capacità delle figure di esprimere il movimento: nelle statue greche del V secolo non abbiamo più un rigoroso equilibrio. L’espressione del movimento passa attraverso la ponderation.
E’ una sorta di compensazione tra i vari arti, si esprime sulle diagonali dei vari arti. Al moto della gamba corrisponde quello del braccio, alla torsione del busto quella del capo.
La struttura anatomica dei corpi diventa una sorta di congegno di leve che trasmettono movimento a tutta la figura.
Auriga di Delfi
Un’altra statua in bronzo originale che ci è arrivata è l’Auriga di Delfi, che faceva parte di un gruppo votivo di statue dedicato da Hieron e Polyzalos a Delfi, e viene ascritto allo scultore Sotade.
L’auriga, che era colui che conduceva i carri, è rappresentato in una forma chiusa, quasi senza gesto, in cui una lunga veste fa del corpo una sola massa cilindrica e le pieghe di questa veste creano lunghi solchi di ombra e striature estremamente luminose.
La figura diventa una sorta di elemento che riflette la luce. E’ tuttavia un’opera non eccessivamente felice e rappresentativa.
Mirone e le statue in bronzo: Discobolo
Tra i grandi bronzisti del V secolo emerge la figura di Mirone, di cui possiamo ammirare diverse copie in marmo dell’opera originale in bronzo del Discobolo.
Ci sono arrivate diverse copie del discobolo, indice della popolarità dell’opera presso i romani, la copia Lancellotti, dal nome della famiglia che la possedeva, è una delle migliori, conservata al Museo Nazionale Romano.
E’ un’opera che sfiora il virtuosismo e rende perfettamente l’idea dedl concetto di ponderation. Tutta la figura è piegata in una sorta di arco e poggia solidamente sulla gamba destra.
Alla gamba sinistra già sollevata e pronta al balzo finale del lancio fa riscontro il braccio che si congiunge al ginocchio destro. la figura traccia una sorta di due grandi curve, una più stretta costituita dal femore destro e dal torso, l’altra, più grande, dalle due braccia.
Ciò nonostante ancora una volta la statua è costruita per essere vista frontalmente. I moti del movimento tutti portati al braccio teso che tiene il disco, sono distribuiti su piani e livelli differenti.
L’opera del Discobolo contiene in sé una grande potenza e determina un possesso dello spazio circostante. La statua è padrona del suo spazio e non subordinata. E’ di grande potenza plastica.
Policleto di Argo e il Doriforo
Policleto di Argo è attivo dalla metà del V secolo. E’ un artista importantissimo in quanto è creatore di un canone proporzionale, cioè un principio strutturale della figura umana e questo canone lo fissa nella figura del Doriforo (cioè portatore di lancia).
Non ci è arrivato nessun originale in bronzo di questo artista, solo copie in marmo, anche per quanto riguarda il Doriforo, che è una copia in marmo romana.
Vediamo come Policleto rompa quella frontalità tipica delle opere arcaiche e con un gioco di leve e flessioni imposti una articolazione ritmica alle membra.
Osserviamo che il Doriforo imposta tutto il peso sulla gamba destra mentre l’altra si flette ed è leggermente arretrata. Alla gamba flessa corrisponde il braccio teso, mentre alla gamba tesa corrisponde il braccio flesso dall’altra parte. Sono quelli definiti i “4 signi a quadrata” di Policleto. Sono spostamenti minimi ma che rendono il corpo umano non più in una dimensione astratta, ma in una impostazione simile a quella naturalistica.
Si crea uno studio ritmico che si unisce a quello delle proporzioni, regolate in una misura di base che ne costituisce il canone policleteo. Ogni parte del corpo ha misure prestabilite rispetto alla grandezza totale, ad esempio la testa è un ottavo del corpo.
Il canone di Policleto, che da ora in poi sarà sempre utilizzato, non è un ostacolo all’invenzione artistica, ma una sorta di base per il rapporto tra la forma universale e il corpo.
Policleto applica il canone in opere molto diverse tra di loro (il Diadumeno, l’Amazzone), di cui rimane solo il ricordo negli scritti. Il canone di Policleto risolve il problema della rappresentazione del movimento, all’interno però di una forma statica.
Di solito le figure si presentano rispetto all’asse mediano con un lato portante a piombo, mentre l’altro è animato da un accenno di moto. La statua diventa la sintesi di ciò che è e anche si ciò che può essere, e quindi viene inserita in uno spazio storico-temporale e in uno assoluto.