Dopo soli quattro anni dalla solenne collocazione della Maestà di Duccio, la città di Siena si arricchisce di un’altra opera grandiosa, un’altra Maestà affrescata su di una delle pareti della sala del Consiglio del Palazzo pubblico di Siena, nel 1315. Come scritto nell’iscrizione in versi che si trova nell’incorniciatura dipinta, l’opera fu terminata nel mese di giugno del 1315 dal pittore Simone Martini.
E’ un pittore che fino a questa data non abbiamo mai sentito. E’ la prima opera in assoluto di questo artista, ma è evidente che data l’importanza della commissione il pittore non poteva essere alle prime armi, si ipotizza che sia cresciuto presso la bottega di Duccio, nasce nell’84 a Siena, muore ad Avignone nel ’44.
La Maestà di Simone Martini
La Maestà di Simone Martini misura 9 m per 7. Appare evidente l’omaggio di Simone Martini al suo maestro Duccio perché viene ripresa l’iconografia della pala di Duccio.
L’opera si trova nel Palazzo Pubblico di Siena. Il soggetto religioso simboleggia una celebrazione si Siena insieme a quella che è la protettrice celeste della città, la Madonna.
Ecco la ragione per cui abbiamo un tema sacro all’interno di un palazzo civile.
La visione duccesca è ripresa ma in tono più aristocratico e cioè la Madonna col bambino, i santi, i martiri e gli angeli tutti assembrati sono inseriti sotto un baldacchino da cerimonia sotto il quale la Vergine è rappresentata seduta su di un trono dorato con schienali a cuspide.
La Madonna ha un vestito sontuoso ed una espressione severa.
I santi, gli angeli e i martiri non sono più come in Duccio scompartiti rigidamente in fila orizzontale, ma queste figure sono disposte su linee diagonali che convergono in profondità.
Osserviamo come le figure acquistano consistenza plastica per quanto siano estremamente sinuose.
Quindi osserviamo che Simone scarta ciò che è rimasto della cultura bizantina, tipico del discorso di Duccio e sviluppa altri argomenti, quello giottesco e gotico.
Giottesco perché le figure sono salde, gotico perché c’è questa ricchezza dei particolari, un colorismo molto accesso.
Soprattutto per quanto concerne l’elemento gotico Simone si avvale senz’altro dei modelli gotici, che circolavano nelle botteghe orafe, tanto è vero che il trono della Vergine viene elaborato come se si trattasse di un reliquiario.
In più osserviamo che le aureole dei santi, martiri, ecc sono decorate con motivi a rilievo, elemento che ancora una volta rimanda all’esperienza dell’oreficeria.
Da quest’opera in poi la cosiddetta punzonatura delle aureole e anche dei fondi in oro, diventerà una costante nella pittura italiana anche nelle tavole in legno.
San Ludovico di Tolosa
Nel 17 Simone Martini è nominato cavaliere da Roberto d’Angiò e per questo monarca esegue il San Ludovico di Tolosa.
Apparentemente la pala celebra un santo, che è canonizzato nel ’17, ma poiché Ludovico era l’erede al trono di Napoli, il quale aveva abdicato in favore del fratello Roberto d’Angiò, il dipinto è in realtà un manifesto politico che mira a far legittimare il potere di fronte agli occhi di tutti, di Roberto d’Angiò.
E’ quindi quella che definiamo una pittura dinastica. Infatti abbiamo la figura del San Ludovico rappresentato con un mano il pastorale e il saio francescano sul quale però è gettato un ricco mantello con bordi d’oro mentre incorona il fratello Roberto d’Angiò.
Osserviamo che si tratta del primo ritratto veristico di un vivente nella pittura italiana.
L’annunciazione di Simone Martini
Nel ’33, tre anni prima di lasciare Siena per Avignone, Simone firma con il cognato Lippo Memmi l’Annunciazione, dipinta per il Duomo.
E’ un’opera emblematica della nuova civiltà gotica.
Uno degli esemplari per compiuti, raffinati, ed eleganti, al limite del virtuosismo.
E’ un’opera che tuttavia mai scade nel decorativismo.
Osserviamo la Vergine come accartocciata su sé stessa, fluida nelle pieghe, composta nelle falcature dei profili con colori tutti sotto tono, il cenere, il granato della veste, l’azzurro del manto, un azzurro cupo, che è foderato di nero.
Osserviamo come il fondo d’oro diventi limite spaziale più che un piano di posa.
C’è un gioco di curve alterne che avvolgono le figure. Osserviamo come le due mani in atteggiamento diverso si corrispondano e come il lembo sinistro del manto a terra rimandi a quello a destra.
E’ come se all’interno della pittura vengano scoperte e variate delle simmetrie. L’immagine della Madonna è quasi simile alla corolla di un fiore.
Più evidente, più scoperto è la composizione spaziale e cromatica dell’angelo.
Angelo la cui bellezza adolescenziale finisce per rappresentare il fulcro di tutto il dipinto, l’angelo è rappresentato come appena disceso in volo tant’è vero che il mantello svolazza ancora.
E’ una figura solidamente inginocchiata, ferma come una statua, ne deduciamo che tale svolazzo con quella fodera più che suggerire un moto serva a Simone per riempire il vuoto che si crea tra le gambe e le ali dell’angelo.
Anche l’angelo è una figura chiusa costruita con una serie di relazioni. Osserviamo le due mani come due foglie su di un unico stelo, una più in alto, l’altra più in basso, altissima raffinatezza del colore, cangiante e ottenuto con la tecnica di sovrapporre il colore all’oro e poi toglierlo con dei piccoli tocchi, abbiamo questo risultato di un broccato che varia dal bianco all’azzurro mentre il palio varia appena sul colore dell’oro, le ali dell’angelo sono rappresentate come penne di pavone e anno occhi e screziature, ma sempre una tonalità aurea.
In questa conversazione c’è un terzo personaggio: il mazzo di gigli che divide la Vergine dall’angelo, è l’asse mediano della composizione che scandisce lo spazio. Osserviamo come in quest’opera le figure non abbiano alcuna evanescenza i quanto i motivi gotici dei festoni e dei panneggi non si risolvono mai in una negazione del volume.