Il momento in cui vengono realizzati gli affreschi della Basilica di Assisi è un momento cruciale per la storia della pittura in Italia, cioè quando si forma quello stile che il Vasari definirà “latino” per contrapporlo allo stile greco bizantino.
Un momento fondamentale nel cantiere di Assisi è la chiamata di Cimabue, a cui viene chiesto di eseguire gli affreschi nella basilica superiore.
Probabilmente questo avvenne per diretto interessamento papale e in conseguenza della fama dell’artista durante il suo periodo a Roma.
La cronologia degli affreschi della basilica superiore costituisce una delle materie più controverse della storia dell’arte e si intreccia con le lotte interne dell’ordine dei francescani.
Durante il Concilio di Narbona nel 1260, ancora una volta l’ala spiritualista aveva vinto escludendo l’uso delle immagini anche a scopo didattico nelle proprie chiese.
Per il momento però questa decisione non coinvolge la basilica di Assisi.
Nel 1279 poi abbiamo un altro concilio proprio ad Assisi, solo di francescani, che ancora una volta ribadisce di non voler far uso di immagini.
Questa volta però Papa Nicolò III reagisce con forza e si oppone a questa scelta e alcuni studiosi sono del parere che sia stato questo Papa a dare il via agli affreschi di Assisi. Altri reputano invece che sia più probabile che questa scelta sia stata fatta dal suo successore Nicolò IV (88-93), che è stato il primo francescano divenuto Papa, il quale fu molto prodigo di donazioni verso la basilica assisiate.
Nicolò IV emanò nel ’88 una bolla in cui decretava che tutte le le elemosine dei pellegrini dovessero servire a finanziare la decorazione della chiesa.
E’ nel ’88 che noi assistiamo all’apparizione delle prime immagini. Questo primo ciclo è effettuato da Cimabue e dai suoi aiuti.
Abbiamo affreschi dei santi Pietro e Paolo, di Maria, dell’Apocalisse.
Queste immagini ormai sono diventate difficilmente leggibili perché i colori hanno virato, quelli chiari sono divenuti scuri e viceversa.
La Crocefissione
Abbiamo la Crocefissione, nel transetto sinistro, in cui notiamo numerose figure gesticolanti sotto un cielo popolato di angeli, e le attitudini, le pose, sono strazianti, indicano sgomento, stupefazione.
E’ una immagine molto drammatica ed anche patetica e rimanda proprio a quella visione patetica usata da Giunta Pisano nella sua crocefissione.
Si tratta di una scena che per certi versi è costruita in maniera arcaica anche perché le figure sono compresse su di un unico piano.
In questo stesso periodo altre maestranze lavorano ad Assisi, romane, fiorentine, ma anche dall’estero.
Sono maestranze che cominciano ad elaborare una prima idea di spazio.
Giotto ad Assisi
Proprio qui ad Assisi nella Basilica superiore osserviamo una nuova personalità che pur essendo al seguito di Cimabue è consapevole dell’importanza di creare un nuovo sistema figurativo, ed è Giotto.
Di Giotto ad Assisi vediamo ad esempio Esaù respinto da Isacco.
E’ un affresco che misura 3×3 metri, e osserviamo come in quest’opera tutto è straordinariamente nuovo: prima di tutto la plasticità dei corpi che sono sbalzati tramite il gioco di luci ed ombre.
Osserviamo il panneggio fluente che si accorda col movimento delle membra.
Osserviamo poi che i personaggi sono inseriti all’interno di una vera e propria scatola spaziale.
Osserviamo che il baldacchino del letto in cui è inserito Isacco ritaglia una cubatura più piccola della struttura architettonica e lo spessore di questo baldacchino è rivelato dal sovrapporsi dei velari anteriormente e posteriormente, quindi si creano una serie di spazi.
Quindi la scena è costruita come una successione di piani in profondità racchiusi in pareti oblique anche scorciate e questo spazio è sottolineato dalla modulazione della luce che proviene da una direttrice decisa. C’è una costruzione spaziale ancora empirica in cui notiamo anche delle contraddizioni, ad esempio in profondità le pareti divergono invece di convergere, però costituisce il primo punto di partenza per rappresentare la terza dimensione.
Giotto lavora ad Assisi, ha già fatto con Cimabue l’apprendistato e ha già lavorato a Roma dove con ogni probabilità ha studiato i cicli musivi e pittorici del IV e V secolo.
Quindi è probabile che la nuova spazialità derivi da un rinnovato interesse nei confronti dell’arte paleocristiana nonché probabilmente dei pittori e scultori contemporanei tra cui Cavallini e Arnolfo di Cambio.
Le storie di San Francesco di Giotto ad Assisi
Giotto lavora alla Basilica superiore di Assisi tra il 90 e il 95 e a lui spettano le storie di San Francesco, che sono un ciclo fondamentale per la pittura italiana, non fosse altro che per il fatto che queste storie vengono dipinte all’interno di un fregio che viene impostato entro un finto loggiato, sostenuto da colonne poggianti su base leggermente sporgente retta da mensole.
Si tratta di una storia suddivisa in 28 riquadri che si svolge su tutta la parete destra verso l’ingresso della chiesa, gira nella controfacciata e torna indietro lungo la parete opposta e descrive la vita dalla nascita alla morte e si conclude con i miracoli postumi.
Oggi è impossibile capire che tipo di novità quest’opera costituisce. Osserviamo che Giotto elimina gli ori, elimina qualsiasi simbologia astrusa ed elimina quella fissità che per secoli era stata tipica della rappresentazione bizantina.
Con Giotto emerge nell’immagine la vita quotidiana che per secoli era stata esclusa dalle arti figurative.
In modo particolare nell’Omaggio dell’uomo semplice osserviamo che il tema si svolge lungo una strada che gli spettatori potevano immediatamente riconoscere come un luogo reale di Assisi, tra il palazzo comunale e il tempio di Minerva.
Quindi per la prima volta dopo secoli la realtà quotidiana torna ad essere rappresentata. Gli edifici formano un fondale e sono visti coerentemente attraverso una veduta laterale dal basso.
Il santo è rappresentato mentre dignitosamente e serenamente passa per questa strada e il cittadino stende il mantello al suo passaggio.
E’ una scena serena, dignitosa e anche reale e credibile.
Il santo non ha una dimensione maggiore degli altri personaggi e non è rappresentato frontalmente, anzi è rappresentato di profilo e inserito pienamente nell’azione.
Ci sono delle comparse, dei contemporanei quindi che indicano il fatto e lo commentano. Sono figure in qui lo spettatore può riconoscersi e questo annulla la distanza tra la pittura e il pubblico, tra la rappresentazione artistica e il mondo reale.
Osserviamo come dopo secoli ritornano sulla scena anche i bambini, soprattutto nelle scene di folla. Un esempio lo abbiamo nella Rinuncia dei beni.
Qui ad esempio abbiamo il Santo che si è ormai spogliato di tutti i beni terreni e dietro di lui vi è una figura religiosa mentre dall’altra parte abbiamo una serie di spettatori e viene rappresentato anche il padre Bernardone del Santo, che sta per esplodere d’ira, e fra gli astanti che sono spettatori ma anche partecipi vediamo lateralmente due bambini.
In un’opera di questo genere non si sa se ammirare maggiormente la rappresentazione di Giotto della folla, la posa di Bernardone, l’inserimento dei bambini o il sorprendente studio anatomico del corpo di San Francesco.
Questo realismo di ambientazione, di situazioni e di personaggi, è inestricabilmente collegato ad un fortissimo controllo ritmico e geometrico che il pittore esercita sulle sue composizioni.
Il rapporto tra le figure e lo sfondo, tra le figure stesse, non è mai casuale.
Vediamo anche Il dono del mantello.
Qui non c’è sfondo architettonico, però Giotto sfrutta i pendii dei colli per far convergere tutta l’attenzione sulla figura principale, cioè sulla testa di San Francesco.
Una delle linee oblique si prolunga poi nel braccio teso del Santo e quindi nel mantello. L’altra si blocca perpendicolarmente sul collo dell’asino.
Quindi tratta gli elementi naturali come linee compositive, li rende strutturali, come se fossero architetture.
Il paesaggio però è trattato ancora in maniera arcaica, mantenendo la convenzione bizantina delle rocce scheggiate e non definisce con precisione le distanze e il succedersi dei piani in profondità.
Dove invece Giotto riesce a dare grande spazialità è negli ambienti architettonici, ad esempio nel Presepe di Greccio.
Osserviamo che proprio nel Presepe di Greccio (il presepe è una invenzione francescana) abbiamo la rappresentazione di un presbiterio ecclesiastico ai tempi di Giotto definito con una veduta dall’abside in cui osserviamo un ciborio molto simile alle creazioni arnolfiane.
Poi vediamo un leggio, un’altra iconostasi con il retro di una croce dipinta inclinata verso la navata, che noi non vediamo con il pulpito ritratto dalla parte dell’accesso.
Quindi possiamo dire che Giotto rifiuta il retaggio bizantino e rifiuta anche quell’enfasi espressiva che ancora sopravviveva nelle opere del suo maestro Cimabue. Di Cimabue recupera essenzialmente il naturalismo, si appoggia poi a quelle che sono le componenti classiche che, abbiamo visto, percorrono tutto il gotico italiano, inoltre recupera lo stile paleocristiano e questo significa recuperare la plasticità e la spazialità.