Giotto dal 1303 è a padova per lavorare alla Cappella degli Scrovegni.
Dopo gli affreschi di Assisi Giotto è il più richiesto degli artisti italiani, viaggia e lavora moltissimo diffondendo il suo stile anche con l’aiuto di una vasta equipe di collaboratori.
Nel 1300 è a Roma in occasione del Giubileo introdotto da Papa Bonifacio VIII e poi dopo un soggiorno a Rimini nel 1303 è a Padova.
La Cappella degli Scrovegni
La Cappella degli Scrovegni è un oratorio costituito da un’unica navata coperto da una volta a botte su cui si innesta uno stretto, piccolo, coro.
Si chiama cappella degli Scrovegni perché fu Enrico Scrovegni, il più ricco cittadino di Padova, il committente dell’opera. Il padre di Enrico è citato da Dante nell’Inferno perché era un usuraio, quindi l’oratorio è da intendersi come ex-voto, un modo per espiare i peccati commessi con l’amministrazione delle ricchezze di famiglia.
Per questo il fondatore è ritratto nel Giudizio Universale insieme ai beati del Paradiso.
Le pareti dell’oratorio sono perfettamente lisce, prive di aggetti, nervature, completamente funzionali alla decorazione pittorica, che Giotto esegue in circa due anni, articolando quattro fasce orizzontali sui muri della navata, e poi una decorazione sull’arco trionfale.
Nel livello più alto abbiamo le storie della Vergine, nei due nastri intermedi, intervallati dalle finestre, le storie di Cristo, poi i vizi e le virtù nel basamento, poi il Giudizio Universale.
E’ un ciclo articolato, molto complesso dedicato al tema della redenzione, a cui si aggiungono i busti di Cristo e dei profeti sulla volta stellata.
Osserviamo che Giotto come già aveva fatto ad Assisi, dispone le scene all’interno di una cornice illusionistica che però è meno aggettante di quella assisiate perché qui il muro è tutto liscio.
Osserviamo però che egli analizza con accuratezza l’effetto illusionistico del finto basamento in marmo e l’intelaiatura di pietre intarsiate delle logge sovrapposte.
Un altro elemento importante è che l’illuminazione delle scene è conformata alla reale fonte di illuminazione dell’edificio, la grande trifora che si trova in facciata.
Giotto a Padova domina mai in maniera sapiente questi mezzi illusionistici che sull’arco trionfale dipinge due vani prospettici scorciati e affondati nel muro privi di figure e quindi privi anche si significato narrativo, essi servono essenzialmente a mostrare la su maestria illusionistica.
Rispetto ad Assisi Giotto qui amplia la gamma cromatica introducendo colori chiari e squillanti (rosa, gialli, celesti) che convivono con rossi e verdi smeraldo, una tonalità molto alta.
I cieli che hanno un intenso blu oltremarino contrastano vivacemente con i bianchi delle architetture.
Comunque il blu è il colore, la nota dominante insieme al bianco ed al rosso delle cornici.
Osserviamo che le figure hanno possenti volumi plastici, hanno pose statuarie.
Il compianto sul Cristo Morto nella cappella degli Scrovegni
Il compianto sul Cristo morto è una delle scene più celebri ma più complesse di questo ciclo, giocata su di un intreccio di linee parallele ed oblique le quali sormontandosi ai gesti e agli sguardi delle figure conducono il nostro occhio in quello che è il punto più drammatico dell’immagine, e cioè maria che abbraccia il figlio morto.
Questa composizione offrirà alla cultura contemporanea e posteriore uno straordinario repertorio di pose.
Osserviamo ad esempio la figura di San Giovanni rappresentato di profilo, slanciato in avanti con le braccia aperte .
Questa posa verrà ripresa per secoli.
Poi osserviamo ad esempio la donna con la mani allacciate sotto al mento, poi le figure sedute di schiena in primo piano, sono tutte pose create da Giotto e continuamente riprese.
Osserviamo che se ad Assisi prevaleva un interesse per la descrizione dei particolari, a Padova il pittore è più interessato alla totalità della realtà e soprattutto alla rappresentazione delle emozioni umane.
A questo proposito osserviamo che le pose più patetiche del compianto derivano da un monumento antico, il sarcofago paleocristiano della Morte di Meleagro, quindi osserviamo anche una precisa ripresa del linguaggio classico.
Anche nelle campiture che trattano temi particolarmente drammatici osserviamo che Giotto non si abbandona completamente alla commozione.
La strage degli Innocenti nella cappella degli Scrovegni
Nella strage degli Innocenti vediamo che Giotto organizza le sue figure all’interno di una partitura architettonica isolando Erode al balcone del suo palazzo e ambientando il massacro verso e proprio di fronte alla mole cilindrica di un battistero toscano, quindi non è una espressionistica rappresentazione dell’urlo e del dolore ma al contrario può essere una razionale ricostruzione storica.
Osserviamo che nel coretto vi è una creazione illusionistica spaziale di grandissima raffinatezza.