Nella civiltà etrusca la concezione del divino si differenzia profondamente da come era nel mondo greco. Laddove l’uomo greco è misura di tutte le cose, all’interno del mondo etrusco l’uomo si sente in stato di assoluta inferiorità nei confronti della potenza degli dei.
Questo determinerà una minuziosa e rigidissima disciplina del culto attraverso la quale viene regolato il rapporto tra dei e uomini. La volontà degli dei doveva essere conosciuta, individuata, indovinata attraverso tutta una serie di interpretazioni che passavano attraverso l’analisi delle viscere degli animali e attraverso i fulmini.
Il cardo e il decumano
Gli dei mandano una serie di segnali che vanno interpretati, anche attraverso vittime sacrificali. Da questo tipo di religione fortemente subordinata nasce anche una ripartizione spaziale che avrà molta importanza in architettura.
Lo spazio sacro viene chiamato Templum e poteva essere applicato al cielo, ad un qualsiasi luogo sacro, ad una città intera, ma anche ad un santuario o alle viscere delle vittime.
I quattro punti cardinali venivano uniti da due rette che si incrociavano ortogonalmente e all’interno di questa divisione ortogonale si viene a costruire uno spazio sacro privilegiato, il Templum.
La linea che va da Nord a Sud viene chiamata Cardo, quella da Est a Ovest, Decumano, termini che saranno ereditati dal mondo romano.
Si vengono quindi a costituire tutta una serie di parti ciascuna delle quali ha un suo significato rituale. Ad esempio ad Est si aveva la sezione di buon auspicio e ad Ovest quella sfavorevole.
All’interno questi spazi erano ulteriormente divisi in sezioni, interpretati in diversi modi. Praticamente tutto lo spazio urbano, dell’agro e celeste, è analizzabile attraverso il Templum, suddivisione che evidenzia sempre una vitalità delle cose, ciascuna ah in sé una sua carica che può essere positiva, negativa, ecc.
Gli etruschi e l’Ade
Tra l’altro gli etruschi avevano un terrore folle dell’Ade, per i greci il mondo dell’aldilà era un regno in cui non esisteva una redenzione, tutti i morti andavano a vivere nell’Ade, per cui ad esempio Achille dice “Meglio vivere una vita da schiavi che nell’Ade”. Se già la situazione del morto per i greci è orribile, per gli etruschi è terrorizzante.
Per gli etruschi i morti vanno a vivere in un mondo dove gli dei sono più demoni che dei, in un mondo terrificante, e questo spiega la ragione per cui non abbiamo trovato più mondi dei morti che mondi dei vivi, cioè abbiamo riscoperto vere e proprie necropoli, laddove invece i nostri studi sulle città vere e proprie sono meno approfonditi.
D’altro canto dobbiamo ricordare che la società etrusca è impostata in maniere eminentemente aristocratica per cui la tomba diventa una delle caratteristiche delle famiglie gentilizie che attraverso la tomba celebra la potenza della propria famiglia.
Questa visione così negativa dell’aldilà mano a mano che proseguono i secoli si fa sempre più emotivamente più forte.
L’urbanistica etrusca
Per quanto riguarda l’urbanistica etrusca osserviamo che le città etrusche sono per lo più città-stato comandate da un re, che si chiama Lucumone e no a caso sono contraddistinte da imponenti cinte difensive i cui resti sono a tutt’oggi visibili. Fra queste vi sono Roselle, Tarquinia, Volsini, Vetulonia, Volterra, Chiusi, Perugia, Fiesole, Arezzo, sono tutte città databili tra il VI e IV secolo a.C.
Erano città protette da mura potenti fatte in blocchi di pietra prima disposti secondo un ordine poligonale, le pietre erano giunte a secco e poi elevate in opera quadrata, con massi squadrati disposti in filari sovrapposti.
Nella parte più bassa la pietra parzialmente squadrata e salendo ci sono quelle squadrate.
In certi casi notiamo anche l’uso di mattoni crudi, non cotti, ma semplicemente ottenuti con paglia e fango e poi seccati al sole. Osserviamo in ogni caso che per queste mura venivano usate sempre pietre locali, mai il marmo e questo perché le vicine cave di marmo di Carrara cominciano ad essere sfruttate solo in periodo romano.
Nelle cinte si aprivano porte che ancora oggi dimostrano l’utilizzo dell’arco, una tecnica costruttiva di origine orientale. Gli etruschi fanno dell’arco l’elemento basilare della loro architettura, passando poi all’interno della tradizione costruttiva romana, dando luogo a una rivoluzione tecnica e formale importantissima.
La città etrusca
Abbiamo osservato come gli elementi ortogonali diventino il mezzo attraverso il quale organizzare lo spazio, specie nell’urbanistica etrusca, ad esempio possiamo vedere Marzabotto, una città estrusca posta sul fiume Reno sulla strada che dal centro dell’Etruria conduceva all’antica Felsina (Bologna).
Marzabotto presentava una cinta sulla quale sono state trovate 2 porte, al suo interno le strade, la strada principale correva da Nord a Sud ed era intersecata orizzontalmente da tre strade, e quindi sulla pianta si creavano otto regioni che a loro volta erano suddivise da Nord a Sud in isolati che creavano delle forme rettangolari allungate.
Le strade principali erano larghe 15 m mentre le secondari 5 m. Non è stato rinvenuto un vero centro, una piazza ma i monumenti religiosi erano posti su di una acropoli situata a Nord Est e naturalmente gli edifici erano sempre orientati verso Sud.
E’ uno schema che in qualche modo richiama lo schema greco e del resto lo schema greco in Italia era diffuso, però d’altra parte dobbiamo osservare come questo asse centrale N-S sia un elemento importante che poi emigrerà nella tradizione spaziale romana, che però lo integra con un elemento orizzontale, quindi non più tre strade orizzontali, ma una strada orizzontale principale.
Le case etrusche
Per quanto riguarda i resti delle case etrusche le notizie sono poche e indirette e ancora una volta possono essere riferite più al mondo dei morti che a quello dei vivi. Noi sappiamo che le prime abitazioni erano costruite semplicemente con mattoni crudi e sostegni lignei e con un tetto che dapprima i paglia fu sostituito con tegole di argilla.
E’ da questa semplice tipologia abitativa che poi deriva anche il tempio.
I templi etruschi
Anche per quanto riguarda i templi etruschi la nostro a conoscenza è più indicativa che reale, perché i templi etruschi sono per la maggior parte costruiti in legno, materiale molto deperibile. Per cui osserviamo che la parte strutturale viene costruita in legno, mentre gli elementi decorativi vengono costruiti in materiale cotto, di modo che la struttura deperisce con il tempo.
Il tempio etrusco è sopraelevato, al suo interno la cella è tripartita e ha un pronao. E’ uno schema che deriva dall’antica casa etrusca che era per lo più formata da tre stanze. Costruito con materiali deperibili, terracotta, materiali crudi, legno elementi di pietrame, è ricostruibile solo attraverso i dati di scavo, le date storiche e i confronti con i modelli votivi.
Le colonne sono caratterizzate da uno stile definito tuscanico: è una colonna liscia, non scanalata e non molto alta. La colonna è impostata su di un basamento con un capitello simile a quello dorico.
Sono templi di piccole dimensioni e tutte le parti del tempio erano ricoperte con elementi di terracotta o lastre variamente decorate che si chiamano antepagmenta. Sono lastre variamente decorate che vengono addossate alla muratura.
Le possiamo trovare anche nella trabeazione e sui lati del frontone.
Nel frontone vi erano poi cornici terminali, sima, lavorate a traforo che completavano i timpani. Poi c’erano delle ante fisse che erano decorazioni poste ai limiti dello spiovente del tetto e poi Acroteri che erano statue a tutto tondo al vertice e ai lati del frontone.
Nonostante una certa analogia con il tempio greco, l’architettura etrusca viene a impostarsi su una concezione spaziale architettonica diversa.
Nell’architettura greca certo elementi decorativi e la struttura tendono a coincidere, nell’architettura etrusca la struttura e la decorazione sono due elementi distinti.
Abbiamo un tempio ligneo con inserite come lastre e acroteri tutta una serie di decorazioni che non fanno parte della struttura. E’ molto importante perché da questa impostazione deriva una visione dell’architettura del tutto divergente.
Ad esempio abbiamo casi in cui le statue acroteriali realizzate in terracotta, a misura maggiore del vero originarimanete collocate lungo il columen, la trave principale del tetto, come ad esempio nel tempio di Portonaccio a Veio.
L’uso di porre le statue di divinità sopra il tempio equivaleva ad indicare un elemento celeste, quindi uno spazio dedicato agli dei. La presenza della divinità assicurava protezione al luogo, che diventava così sacro.
A Portonaccio quattro grandi statue ornavano il tetto: la statua di Apollo di Veio, Eracle con la cerva, Ermes e Latona con Apollo bambino. In modo particolare in quest’opera che è ascrivibile al VI secolo a.C. osserviamo che sono ascrivibili ad un grandissimo maestro, che raggiunse altissimi livelli dal punto di vista della qualità artistica e tecnica. Si tratta di un coroplasta, cioè un artista nella lavorazione della terracotta.
In opere di questo genere il maestro indica chiaramente i legami che sempre intercorsero tra arte greca e arte etrusca in modo particolare soprattutto con la corrente ionica.
Noi sappiamo che ci fu uno scambio continuo tra i centri ionici dell’Asia Minore e il popolo etrusco.
Da questo rapporto continuo è chiaro che nasce un’opera come l’Apollo di Veio. Alla base di una figura come questa vi è ancora il kouros greco, dalle forme delicate e sfumate tipiche della statuaria ionica rappresentato con meno sacralità, più slancio, che però ha ancora il sorriso arcaico, ma è un sorriso arcaico falso, perché qui non è assenza di espressività, ma il sorriso del dio parte dalla bocca ma arriva fino agli occhi, non è assenza espressiva.