Cenni di Pepo, detto Cimabue, nato nel 1240 e morto a Pisa forse nel 1302 fa parte della scuola toscana ed è il suo massimo rappresentante.
Intorno al 1270 sappiamo che a Roma si trovano presenti contemporaneamente sia Cimabue che Cavallini e probabilmente anche il Torriti e il Rosciti, i quali stanno per cominciare i grandi cicli pittorici di San Pietro e San Paolo fuori le mura.
Sono grandi cicli pittorici a cui la Toscana in questo stesso periodo non ha da contrapporre altro che qualche tavola dipinta, quindi osserviamo uno spostamento di un centro culturale primario a Roma dalla Toscana, laddove la scultura ha avuto il suo centro in Toscana, con Arnolfo di Cambio, Nicola Pisano e Giovanni Pisano.
Questo spostamento è confermato perché quando si inizia la decorazione della Basilica di San Francesco d’Assisi la schiera dei decoratori verrà tutta da Roma, capeggiata da Cimabue.
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Il Cavallini
A Roma le due personalità portanti sono Cimabue e Cavallini.
Del Cavallini abbiamo perduto completamente il ciclo di San Paolo per cui la sua opera ci appare in S. Maria di Trastevere per la prima volta.
Sono mosaici a cui viene attribuita la data del ’91.
Non dobbiamo dimenticare che la tradizione musiva romana era una tradizione pressoché ininterrotta dal IV secolo in avanti, affondava le sue radici nell’arte romana, però il mosaico tende a soluzioni piane più che a creare volume.
Negli affreschi di Santa Cecilia, osserviamo come partendo dal chiaroscuro paleologo Cavallini tenda a sbalzare le figure fuori dalla parete e questo significa dare plasticità alle cose.
Quindi Cavallini interpreta in modo esclusivamente personale il chiaroscuro paleologo e praticamente diventa il porta bandiera di una pittura che non può più dirsi bizantina perché riporta al concetto di volume e tridimensionalità.
Probabilmente di mano del Cavallini è il Cristo Pantocrato del Camposanto Teutonico. Osserviamo proprio nel Cristo Pantocrato che Cavallini utilizza il chiaroscuro paleologo per costruire il volume.
Cimabue
Anche Cimabue parte dal chiaroscuro paleologo però procede per una via opposta al Cavallini.
Il chiaroscuro paleologo è una sorta di affumicatura dell’immagine.
Tutta l’immagine viene imbevuta d’ombra.
Cimabue quest’ombra la riporta tutta in superficie utilizzando il colore in maniera completamente cristallina, il colore impregna la materia, ne fa parte.
Sappiamo che Cimabue era a Roma intorno al ’70.
Da Roma si sposterà poi ad Assisi.
Crocifisso di Cimabue
Il Crocifisso di Cimabue, oggi conservato a Firenze, al museo dell’opera di Santa Croce, è un’opera del 1280.
Il crocifisso ha subito notevoli deturpazioni quando è straripato l’Arno nel 1966.
Osserviamo che la tavola non propone novità assolute, ma Cimabue si orienta ispirandosi al modello Giunta Pisano.
Probabilmente questo è dovuto alla esplicita richiesta dei committenti anche in questo caso domenicani.
A Giunta Pisano rimanda per l’impianto compositivo con Maria e San Giovanni all’estremità dei bracci della croce, la scelta iconografica del Cristo pathiens, sofferente, gli elementi che definiscono la costituzione anatomica, ma si avverte anche un influsso di Coppo di Marcovaldo nell’inarcarsi molto insistito del corpo del Cristo i avanti ed anche nelle striature dorate che si evidenziano nelle vesti delle due figure dolenti di Maria e San Giovanni e anche nel perizoma rosso del Cristo.
Il corpo del Cristo è grandioso ma è molto sinuoso ed emaciato.
Maestà di Cimabue
per quanto riguarda la Maestà del Cimabue, è di dopo il 1280. Osserviamo che quest’opera pare sia stata dipinta subito immediatamente dopo gli affreschi eseguiti da Cimabue per la chiesa superiore di Assisi e sappiamo che questo affreschi si arrestano nel ’83 quindi la data dell’opera va dal 833-85 in poi.
La Maestà è una Madonna in trono che però è attorniata da angeli e santi.
Osserviamo in quest’opera che quello che si impone al primo sguardo è la solennità architettonica della struttura.
Più che una pittura sembra la facciata di una cattedrale.
Soprattutto altra cosa che colpisce è la rigorosa frontalità dell’immagine.
La Madonna è completamente frontale, ha un lieve piegamento della testa perché con la testa e con la mano indica il figlio.
Il trono è rappresentato in modo rigidamente frontale e si incurva al centro, cosa che è una grande trovata dell’artista che è in grado attraverso il chiaroscuro paleologo di dare volumetria alla figura..
Questa monumentalità di impianto è una caratteristica straordinaria.
Un’altra caratteristica straordinaria della sua pittura consiste nell’uso lampeggiante delle gradazioni cromatiche sulle ali degli angeli, un elemento ripreso dalla cultura bizantina ma che Cimabue utilizza in funzione plastica.
Rieccheggia il chiaroscuro attraverso il quale modula i volti quindi anche il colore è un mezzo per dare volume alle immagini.
Se dovessimo trovare una cifra stilistica questa sarebbe da leggere nel volume.
Osserviamo nel piedistallo del trono le striature dorate e vediamo come la conca del suppedaneo concorra anch’essa ad accentuare l’elemento volumetrico.
Il valore plastico delle sfumature cromatiche degli angeli è confermato da una tonalità bassa dell’opera un cui a parte le figure del profeta col diadema e il mantello rosso, tutti gli altri colori sono sotto tono, vanno dall’amaranto al grigio all’azzurro stagnante.